Al voto per il Governo della Regione: due temi centrali per il programma
Sono tra quelli che non si sono appassionati molto alle vicende che hanno fatto seguito alle dimissioni di Vasco Errani da Presidente della Giunta dell’Emilia-Romagna, fino allo svolgimento delle primarie del 28 settembre scorso per la designazione del candidato Presidente del centro sinistra alle elezioni del prossimo 23 novembre. Do piena solidarietà e apprezzamento a Errani per il lavoro fatto (non voglio trascurare l’impegno profuso, e i risultati, nella tragica esperienza del terremoto e poi delle esondazioni) e per il rigore e la coerenza tenuti a fronte della sentenza: una sentenza che rispetto, come dovuto, ma che mi suscita molte perplessità e riserve, che mi auguro troveranno conferma nel terzo, e definitivo, grado di giudizio col pieno proscioglimento dell’interessato.
Posto il percorso che inevitabilmente si apriva, per l’individuazione del successore, almeno dal versante del PD, quel che ne è seguito mi è parso per mesi assai farraginoso, e tale da non aver giovato alla promozione della partecipazione al voto delle primarie. Del resto, anche sul meccanismo delle primarie bisognerà aprire una riflessione: così come sono impostate troppo spesso si riducono a formazione di schieramenti e tifoserie tra i vari contendenti, senza alcuna o ben poca considerazione per programmi e contenuti, da apprezzare e valutare confrontandoli nel merito. In questo modo, si finisce con il depotenziare l’originalità e l’efficacia dello strumento partecipativo: ne è un segno la consultazione per il candidato del centro sinistra a Presidente della Regione, al di là dei profili delle figure in competizione, e della netta affermazione di Stefano Bonaccini.
Ora viene l’appuntamento delle elezioni vere: è augurabile che in vista del voto i candidati e gli schieramenti elaborino e confrontino programmi adeguati, per serietà e qualità, alla novità e complessità della sfida aperta per l’Emilia-Romagna, per disegnare l’orizzonte di un nuovo ciclo di governo della società e dell’economia della regione in cui salvaguardare e rigenerare, attraverso innovazioni, riforme e investimenti appropriati, il capitale sociale accumulato, e confermarne il posizionamento a scala europea.
Sono certo che Bonaccini e la coalizione che lo sostiene sapranno farlo al meglio: tuttavia vorrei suggerire qualche modesto contributo su alcuni aspetti cruciali, destinati a incidere fortemente sul profilo delle politiche regionali, e che proprio per questo pretendono analisi ed approcci più approfonditi e penetranti.
In primis la Sanità: il settore che assorbe ormai quasi l’80% della spesa complessiva regionale. In proposito, sento ricorrere nomi per candidature assessorili, e reiterare buone intenzioni, circa la riduzione delle liste di attesa nella specialistica, e il mantenimento di alti livelli di buon funzionamento del sistema. Tutto giusto: a condizione di essere consapevoli che le prospettive sono piuttosto quelle di ulteriori restrizioni nelle risorse a disposizione, che per converso saremo in presenza di una tendenza all’ulteriore incremento dei bisogni e della domanda, e che anche nelle nostre realtà si registra disaffezione di operatori e diffidenza dei cittadini verso i servizi, specie a fronte di esigenze di razionalizzazioni e revisioni.
A ormai venti anni dalla legge regionale di riforma della sanità regionale (maggio 1994), in attuazione delle leggi di aziendalizzazione della sanità pubblica (1992/’93), è opportuno procedere ad una “manutenzione”, che consolidi gli elementi qualificanti del sistema sanità, e ne corregga alcune sfasature. Bisogna innanzitutto riconoscere che il processo di aziendalizzazione della Sanità pubblica, per come attuato in Emilia-Romagna, ha prodotto risultati molto validi, assicurando valorizzazione e autonomia delle competenze rispetto ai rischi di invasività della cattiva politica, realizzando significativi livelli di efficienza e qualità nel sistema complessivo delle prestazioni, specie in ambito di rete ospedaliera, e conseguendo un sostanziale equilibrio in termini di sostenibilità anche sul piano del rapporto costi/risorse
Di questo, da anni, c’è riscontro dai più accreditati organismi di valutazione nazionali ed internazionali: bisogna non scordarlo mai, e continuare a difendere e affinare un modello di sanità che funziona. Non deve però sfuggire che, nel corso del tempo, causa l’indebolirsi della politica, intesa come capacità di progettazione, indirizzo e controllo ai vari livelli, e per i vincoli cogenti in tema di restrizione delle risorse ed equilibrio dei bilanci, il “governo” della sanità si è molto accentrato sulla Regione, che ne ha l’intera responsabilità non solo per il funzionamento, ma anche per il finanziamento e la spesa. La gestione, ai livelli territoriali, manifesta talvolta i tratti della visione burocratica e tecnocratica, a scapito di un più fecondo rapporto con le istanze del territorio e la partecipazione dei cittadini. Questi erano peraltro rischi già avvertiti fin dall’inizio della riforma: non a caso erano previste le Conferenze territoriali e provinciali dei Sindaci, per un contributo alle scelte di programmazione, il monitoraggio e la valutazione di risultato, ed il coinvolgimento di cittadini ed associazioni nei Comitati consultivi degli utenti per il controllo di qualità/efficacia dal lato della domanda, e circa la soddisfazione riguardo ai percorsi di accesso ai servizi.
Tali strumenti si sono però progressivamente affievoliti nella capacità propositiva e possibilità di incidere: la sfida della prossima legislatura regionale dovrà essere proprio quella di “ricalibrare” i temi della “governance” del sistema, promuovendo una più ampia responsabilizzazione e partecipazione dei territori al fine di orientare al meglio le scelte di priorità all’interesse di salute delle comunità e bisogni dei cittadini Non si tratta di rimettere in discussione l’autonomia professionale e il ruolo che spetta alle competenze: bisogna piuttosto far riacquisire alla politica le funzioni che le sono proprie, per agire le decisioni che sono sua prerogativa. La difesa e innovazione della qualità del sistema sanitario regionale, la tutela del suo carattere universalistico di accesso alle prestazioni, ancorchè selettivo in ragione del reddito dei cittadini, e il mantenimento della funzione di riferimento esemplare che l’Emilia-Romagna svolge da sempre a livello nazionale in questo ambito, nelle condizioni di difficoltà finanziarie che si prospettano, non saranno possibili solo in forza delle valide competenze tecniche e di un pur lungimirante dirigismo illuministico.
Fermo restando il ruolo di governo strategico del sistema che compete alla Regione, e la piena titolarità nell’allocazione delle risorse (da attribuire in base a parametri standard, con motivazione e piena trasparenza dei criteri di riparto applicati) e nel controllo delle relative spese, si deve puntare a ridare agli enti locali per l’ambito delle ASL di riferimento, ed alle dimensioni territoriali di distretto, più reali poteri di direttiva e valutazione dei risultati per una sanità meglio orientata al cittadino, insieme ad una piena responsabilizzazione, anche loro, sulla gestione delle risorse correlate a quegli obiettivi definiti e condivisi.
Per questo, ed è il secondo snodo tematico cui rinvio in altra scheda di questa newsletter, l’occasione del “riordino istituzionale” connesso alla istituzione della Città Metropolitana ed al superamento delle Province, con lo sviluppo delle Unioni di Comuni e delle aree territoriali vaste, può rappresentare una felice coincidenza per lavorare finalmente all’obiettivo di una sanità che non sia percepita dai cittadini come un luogo di “proprietà” degli operatori sanitari o dei tecnocrati della sanità, ma come il luogo nel quale si realizza “la sanità dei cittadini” e non in senso generico, ma precisamente dei cittadini di un determinato territorio i quali, attraverso le loro rappresentanze istituzionali locali, nel rispetto dei vincoli finanziari e delle priorità, ne possano influenzare i contenuti e controllarne risultati e modalità gestionali.