Iniziativa legislativa popolare
INIZIATIVA LEGISLATIVA POPOLARE
Art. 18-dello Statuto della Regione Emilia Romagna
Oggetto: Una governance rinnovata e più aderente ai territori per il Servizio Sanitario della Regione Emilia Romagna.
(dalla Relazione illustrativa della bozza di legge)
Tutte le agenzie indipendenti, nazionali ed europee, collocano il sistema sanitario emiliano romagnolo al vertice delle classifiche di valutazione delle performance. Perciò, a ormai vent’anni dalla riforma del 92/94 (aziendalizzazione della sanità pubblica) e in specie della legge regionale n. 19/1994, è possibile limitarsi ad alcuni aggiornamenti migliorativi di aspetti che si sono rivelati insufficienti, aggiornamenti che appaiono tuttavia non solo necessari, ma anche non più rinviabili.
Occorre a tal proposito preliminarmente osservare che l’aziendalizzazione della sanità pubblica, ove adeguatamente realizzata come in Emilia Romagna, ha consentito di sottrarne la gestione alla incompetenza e alle mediazioni della politica, la quale ha invece giustamente conservato le funzioni di programmazione, indirizzo e controllo.
Soprattutto negli ospedali sono state anche proficuamente introdotte tecniche e culture gestionali mutuate dal contesto civilistico tipico delle imprese, consentendo in questo modo la misurazione delle performance di produttività, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
I costi unitari di produzione sono rilevabili e, mediante l’introduzione del DRG quale unità di misura della produzione ospedaliera e della relativa tariffa, i costi e i ricavi figurativi dei diversi centri di responsabilità sono comparabili. La comparazione fra i costi di produzione e i ricavi connessi, dà la misura, convenzionalmente accettata, dell’efficienza delle diverse strutture.
L’attribuzione ad una figura tecnico-professionale monocratica della rappresentanza legale e delle responsabilità e competenze gestionali, con conseguente sovraordinazione gerarchica del Direttore Generale rispetto ai sottosistemi organizzativi aziendali, non deve essere posta in discussione.
Deve essere mantenuto fermo anche il principio della necessaria identità tra “chi spende” e “chi paga”, oggi incardinato sulla competenza esclusivamente regionale a finanziare il sistema, a gestirlo per il tramite di Direttori Generali nominati dalla Regione e a rispondere degli eventuali risultati negativi della gestione stessa.
La sostanziale concentrazione di tutte le competenze direttamente o indirettamente in capo alla regione, non tiene conto di due esigenze ormai divenute insopprimibili: quella di saper articolare gli indirizzi programmatici regionali in modo aderente alle priorità e alle sensibilità specifiche dei diversi territori e quella di garantire/controllare che la quotidianità della gestione delle Asl da parte dei Direttori Generali, sia informata ai principi di trasparenza e imparzialità che nessuna malintesa cultura della aziendalizzazione può trascurare nella gestione di strutture e risorse pubbliche.
Per questo occorre porre mano al problema della governance delle aziende sanitarie, nella consapevolezza che una governance che coinvolga strutturalmente le rappresentanze istituzionali territoriali, influisce direttamente sulla adeguatezza delle aziende stesse a riconoscere e soddisfare le peculiari attese dei singoli territori.
Intervenire sulla adeguatezza della governance delle aziende non significa pertanto limitarsi ad un problema di ingegneria istituzionale o organizzativa, bensì influire sulla qualità e adeguatezza dei servizi sanitari forniti in un determinato territorio.
Significa anche garantire che le aziende siano gestite all’insegna della legittimità e della imparzialità, realizzando finalmente l’obiettivo di una sanità che non sia percepita dai cittadini come un luogo di “proprietà” degli operatori sanitari o dei tecnocrati della sanità, ma come il luogo nel quale si realizza “la sanità dei cittadini” e non in senso generico, ma precisamente dei cittadini di un determinato territorio i quali, attraverso le loro rappresentanze istituzionali locali, ne possono influenzare i contenuti e controllarne risultati e modalità gestionali.
Fermo restando tutto ciò, occorre avere consapevolezza che le aziende sanitarie non operano in un mercato ove si confrontano direttamente domanda ed offerta ed il prezzo della prestazione è pagato direttamente dal consumatore e dove quindi i risultati economici della gestione costituiscono criterio oggettivo di valutazione della performance dei responsabili della gestione stessa.
I risultati della gestione sono fortemente influenzati da una quantità di variabili, fra le quali emergono come decisive le decisioni regionali di allocazione delle risorse, l’evoluzione e la direzione della domanda come storicamente e geograficamente consolidatasi nei decenni, la eterodeterminazione dei prezzi di acquisizione dei fattori produttivi (farmaci e personale), la eterofissazione di standard di funzionamento (requisiti strutturali, dotazioni organiche ecc.) delle strutture sanitarie.
In forza di tali condizionamenti le decisioni della politica assunte a monte della gestione, peraltro più o meno determinanti a seconda del “peso” politico dei diversi territori e per loro natura discrezionali, rendono discrezionale non solo la nomina, ma anche la valutazione dei vertici aziendali. Tale discrezionalità, accompagnata anche dalla necessaria “fiduciarietà” del rapporto fra rappresentanza politica e responsabilità tecnica di vertice, appare in larga misura immodificabile, né sembra opportuno che sia modificata a favore di automatismi burocratici che nessuna buona prova hanno fornito nella gestione della sanità precedente la aziendalizzazione.
Ciò che va ridislocato è l’esercizio della discrezionalità politica unitamente al riferimento della fiduciarietà, ridando protagonismo e responsabilità effettive alle rappresentanze istituzionali territoriali, in un nuovo e più democratico equilibrio fra poteri regionali e poteri locali.
Si tratta di assicurare un legame organico fra il vertice gestionale e il territorio aziendale e di garantire che la vita dell’azienda sanitaria possa essere assoggettata al normale controllo sociale e istituzionale, al quale nessun organismo pubblico può e deve sottrarsi e che solo la vicinanza delle istituzioni locali possono garantire.
Infatti la legislazione regionale assegna un ruolo agli Enti locali esclusivamente nella programmazione, verifica e controllo riguardo alle politiche per la salute e all’attività delle Aziende sanitarie.
Sembrerebbe opportuno assegnare alle Conferenze territoriali sociali e sanitarie più penetranti poteri tanto per la natura delle conferenza stesse quanto per la vicinanza al luogo di reale esercizio delle funzioni e di erogazione dei servizi.
L’auspicata lotta agli sprechi e l’azione, egualmente necessaria di “spending review “ può risultare maggiormente efficace se il punto di osservazione della attività delle aziende si sposta a livello locale, cioè quanto più vicino possibile alla responsabilità gestionale.
Un reale coinvolgimento della Conferenza territoriale sociale e sanitaria si può avere solo attribuendo alla stessa il potere di approvare i budget previsionali (in occasione dei quali eserciterà le proprie funzioni di indirizzo programmatico vincolante, nei limiti ed in coerenza con gli indirizzi regionali) e bilanci consuntivi e sarà naturale destinataria, per i controlli di gestione in corso di esercizio, della relativa reportistica periodica.
Per converso ciò richiede un maggiore coinvolgimento del livello locale nella responsabilità per il conseguimento di un appropriato equilibrio spesa/efficacia/qualità nella gestione finanziaria dei servizi.
Nella ripartizione del FSR la regione, dopo aver stabilito e trattenuto la quota necessaria per programmi di interesse regionale e per un fondo di riserva e riequilibrio, trasferirà alle aziende sanitarie le risorse per quota capitaria ponderata.
La somma delle quote capitarie rapportata alla popolazione di ciascun comune potrebbe rappresentare proprio la quota di partecipazione di quel comune nella azienda sanitaria stessa. A tale quota sarà commisurata la parte di responsabilità sugli eventuali disavanzi di gestione, nel senso che gli stessi dovranno essere ripianati, se riconducibili a carenze della governance, a carico dei comuni dell’ambito territoriale di riferimento con risorse proprie o con ticket valevoli solo in quell’ambito di riferimento.
La possibilità di ticket valevoli solo in una parte del territorio regionale potrebbe costituire una innovazione che mette anche in evidenza l’andamento della gestione in quel territorio e fornisce un criterio reale e per il giudizio sull’efficienza del management.
Per contro la Conferenza territoriale sociale e sanitaria fornirà alla Regione non più solo un parere bensì l’intesa circa la nomina del Direttore Generale all’interno degli elenchi attualmente previsti, con una modalità analoga a quella già riconosciuta ai Rettori delle Università.
Così nominato il Direttore Generale procederà alle ulteriori nomine secondo normative anch’esse meritevoli di rivisitazione, nel senso di ricondurre la nomina dei dirigenti medici responsabili di struttura complessa alla competenza e responsabilità dei professionisti e non del Direttore Generale, se pur mediante procedure di valutazione e comparazione meno formali delle vecchie procedure concorsuali, ma che non perciò dovranno essere meno trasparenti e oggettive.
La Conferenza territoriale sociale e sanitaria sarà altresì destinataria dell’elenco mensile delle deliberazioni e delle determine degli organi dirigenziali della azienda, al fine di poterne chiedere copia e conto. ln tale attività di controllo la Conferenza dovrà essere supportata da figure professionali tecnico amministrative di adeguata qualifica e competenza e caratterizzate da totale autonomia rispetto alla azienda sanitaria.
L’ipotizzato ingresso dei comuni nella governance delle aziende sanitarie, lungi dal rappresentare un ritorno agli anni 80, quando le unità sanitarie locali erano strumento dei comuni, costituisce una ragionevole mediazione con l’attuale situazione nella quale è ormai unanimemente riconosciuto che i direttori generali vengono percepiti da una parte come una sorta di proconsoli regionali e dall’altra un esempio di oligarchia tecnocratica sottratta ad ogni reale controllo circa la quotidianità del loro operato.
Il riferimento territoriale ed istituzionale delle aziende sanitarie, al momento individuato nella nuova Provincia, dovrà modificarsi nel tempo in coerenza con le modifiche costituzionali di ridisegno delle autonomie locali, avendo fin d’ora presenti il ruolo emergente delle Unioni Comunali e delle Città Metropolitane. Le modificazioni territoriali in corso nella sanità regionale, nel senso dell’accorpamento di più territori provinciali dovranno essere coerenti con i suaccennati riassetti e, in tale occasione, previa modifica della legislazione nazionale, potranno essere ricondotte alla unitarietà di gestione in un’unica azienda sanitaria per ciascun nuovo ambito territoriale e riferimento istituzionale locale, le attuali Aziende Ospedaliere e Ospedaliere-Universitarie.