Ritrovare il “filo di Arianna” per la X Legislatura regionale

22 Dic
22 Dicembre 2014

Nel momento in cui scrivo il Presidente Stefano Bonaccini non ha ancora ufficializzato la composizione della sua Giunta, mentre è fissata per il prossimo 29 dicembre la data dell’insediamento della nuova Assemblea Regionale dell’Emilia-Romagna, con cui si avvierà la X Legislatura.

Molte, come ho già avuto modo di sottolineare, sono le sfide che attendono la nuova guida della Regione, sul terreno delle scelte di governo per il welfare, l’innovazione, il lavoro, i saperi e la crescita sostenibile, rese ancora più urgenti e difficili dal forte dato di astensione registratosi nel voto del 23 novembre scorso.

Ci saranno studi e sedi appropriati per analizzare approfonditamente le ragioni di un dato così eclatante: mi pare però che una chiave di lettura possa essere trovata in un segnale assai netto che una parte significativa dell’elettorato che si riconosce o ha un riferimento in un’area vicina al PD ha voluto mandare, per sottolineare la propria insoddisfazione.

E segnalare dissenso, e disagio, per le scelte ed i comportamenti che hanno coinvolto i rappresentanti eletti nell’Assemblea regionale, ma anche in relazione a temi nazionali di visione ( meglio, “divisione” ) politica e di rapporto con le parti sociali, estranei alla concezione di eticità nell’esercizio della responsabilità pubblica e delle funzioni di rappresentanza come qui si pretende, e lontani da una cultura che fa della coesione un punto di forza per la tenuta di un sistema di relazioni solidali e capacità competitive.

Le elezioni in Regione, per cui non era a rischio l’esito, si prestavano a fornire un’opportunità, che in molti hanno ritenuto di cogliere. Il fatto che il voto non abbia sostanzialmente premiato altri schieramenti, o visto l’aumento di forze di protesta antipolitica o di sinistra radicale ne è una conferma: gran parte dell’astensione ha voluto dialogare criticamente col PD, in cui vuole continuare a riconoscersi, e chiedere forti correzioni di impostazione e di linea, per il governo regionale e nella gestione del partito.

Bisogna ripartire da qui: analizzare e comprendere i molteplici elementi che si sono saldati in quel comportamento di distacco, e cercare di ritrovare un “filo di Arianna” per riallacciare un dialogo nel rapporto con i cittadini che permetta di ricostruire il rapporto di fiducia e partecipazione con l’Istituzione Regione e le sue scelte di Governo, anche attraverso un più intenso raccordo con i territori ed i nuovi assetti istituzionali che andranno disegnati a seguito della prospettiva del superamento delle Province.

E c’è bisogno che l’Emilia-Romagna sappia, con piena forza ed autorevolezza, svolgere un ruolo da protagonista anche a scala nazionale nell’innovazione e sperimentazione delle politiche di riforma per la modernizzazione del paese, promuovendo anche per questa via gli interessi della comunità regionale.

Nell’augurare buon lavoro alla Giunta del Presidente Bonaccini e a tutta l’Assemblea regionale, sottolineo l’impegno a promuovere la legge di iniziativa popolare “Per una governance rinnovata e più aderente ai territori per il Servizio Sanitario della Regione Emilia-Romagna”, di cui ho parlato nella newsletter di novembre, che si iscrive a pieno titolo in quello spirito di innovazione e riforme di qualità qui richiamato.

1 commenta
  1. Domenico Pilolli says:

    Caro Barbolini,
    penso che il declino dell’Italia sarà inarrestabile se non si riusciremo ad estirpare i 5 cancri che ne minano la salute.
    Mi rendo conto che la metafora è sgradevole, ma come definire in altro modo le cinque più gravi malattie che affliggono il nostro Paese ? Permettetemi di elencarle: la corruzione diffusa, l’evasione fiscale a livelli insopportabili, la diffusione della criminalità organizzata, l’inefficienza della giustizia civile, penale, amministrativa, l’enorme debito pubblico.
    La corruzione diffusa: anche prescindendo dai più recenti e terrificanti fatti romani, è forse la malformazione più deleteria. Se ne stima l’entità economica in 70 miliardi, ma non è tanto questo dato che può misurarne l’effetto devastante: più che l’aspetto economico diretto contano le conseguenze indotte in termini di reputazione del Pese, di perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, di deterioramento generalizzato dell’etica nazionale.
    L’evasione fiscale: a livelli tra i più elevati al mondo. Se ne stima l’entità intorno ai 150 miliardi, circa il 10% del Pil; le conseguenze più immediate sono ben note: una pressione fiscale pesantissima su quelli che pagano regolarmente le tasse, una rilevante riduzione delle capacità di spesa dello Stato.
    La diffusione della criminalità organizzata: dominante in tre regioni del sud, con una crescente penetrazione anche al nord; e con un giro d’affari sporchi che porta ad un “fatturato” da grande azienda, stimato da qualcuno superiore a 130 miliardi.
    L’inefficienza della giustizia civile, penale, amministrativa: in questo caso è impossibile azzardare una stima attendibile delle ricadute economiche dirette, ma è indubbio che le conseguenze sull’economia in generale, e sulla propensione agli investimenti in particolare, sono pesantissime e ben note.
    Il debito pubblico dell’Italia è da anni ai massimi livelli : ad oggi 2.170 miliari, pari al 136% del Pil, e in continua crescita. Questo comporta un onere annuo di circa 90 miliardi di interessi passivi, una delle principali voci di spesa del bilancio nazionale: un fardello che limita pesantemente le capacità di spesa dello Stato e impedisce l’adozione di misure significative di riduzione della pressione fiscale. Tutto questo potrebbe sembrare la scoperta dell’acqua calda, giacchè non è vero che non si parli abbastanza di questi mali dell’Italia: se ne parla nei talk show, se ne scrive sui giornali, e in qualunque programma elettorale si possono leggere tante parole in proposito. Si, ma è proprio questo il punto: si scrivono due o tre paragrafi su questi temi, tra decine di altri paragrafi che trattano i più svariati argomenti, alcuni dei quali certamente importanti: non c’è dubbio, ad esempio, che il problema dell’occupazione sia estremamente grave, giustamente il più sentito dalla gente, come importante è anche il tema dell’inefficienza della PA, e tanti altri. Ma quello che manca è il senso della priorità: i cinque cancri citati non si possono mettere sullo stesso piano dei mille altri problemi che affliggono il Paese, occorre che si abbia la consapevolezza dell’enorme gravità di questi cinque “macroproblemi”, del loro essere “a monte” di tutti gli altri, della necessità e urgenza di affrontarli con la massima determinazione e tutti insieme. Esiste infatti una sorta di “sinergia negativa” che determina un effetto che, nel complesso, supera la somma degli effetti prodotti da ciascuno di questi bubboni. Specularmente, una forte azione di contrasto coordinata nei confronti dei 5 morbi produrrebbe una sinergia positiva in grado di potenziare e rendere più efficaci le singole azioni.
    Fino a quando non saranno affrontate con decisione, cambiando metafora, le 5 enormi palle al piede con le quali l’Italia è costretta a competere con altri paesi, il declino del nostro paese sarà inarrestabile.
    Naturalmente, non è pensabile di recidere le 5 malformazioni, a colpi di bisturi, in tempi brevi: occorre un tempo adeguato, e in ogni caso non è realistico pensare di poterle annullare radicalmente. Sarebbe sufficiente un significativo ridimensionamento, che ci avvicini ai parametri caratteristici dei paesi più virtuosi. Si potrà anche obiettare che qualcosa è stato fatto o si sta per fare per contrastare i 5 mali; si, appunto: qualcosa. Ma non basta, è drammatica la distanza tra la rilevanza delle azioni in campo e la gravità delle situazioni.
    Occorrerebbe una mobilitazione coordinata e costante di tutte le istituzioni e di tutte le strutture dello Stato, della società, dei media; occorrerebbe prima di tutto una diffusa consapevolezza sulle priorità, poi una pianificazione di azioni che muova dalla definizione di precisi obiettivi espressi chiaramente in termini di quantità e tempi; obiettivi realistici, ma sufficientemente sfidanti. E infine: un costante monitoraggio della situazione di fatto in rapporto agli obiettivi, e l’adozione tempestiva di azioni correttive nel caso di scostamenti significativi tra i risultati ottenuti e quelli attesi.
    Provo un senso di grande sconforto nel constatare che, mentre i nostri maggiori mali progrediscono inesorabili, ci si trastulli per mesi discutendo su temi che saranno pure di una certa rilevanza (riforma del Senato, legge elettorale, articolo 18, costi della politica, ecc.) ma nella scala delle priorità si collocano a distanze abissali rispetto ai temi fondamentali che ho richiamato.
    So che non è corretto sommare semplicemente gli effetti economici dei cinque fattori: ma, soltanto per disporre di un riferimento numerico, credo si possa considerare che l’ordine di grandezza delle risorse complessivamente in gioco sia intorno ai 500 miliardi di euro; se si riuscisse non dico a dimezzare, ma almeno a ridurre del 30% questo enorme dispendio di risorse, quante buone cose si potrebbero realizzare con 150 miliardi?
    Un cordiale saluto, e, possibilmente, Buon anno 2015!!!

    Domenico Pilolli

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